In ricordo di Papa Wojtyla.
Un Papa e il suo calvario – Cosa pensa un Papa quando si avvicina alla morte? Sa già chi incontrerà, chi ci sarà ad aspettarlo oltre il mistero della vita terrena che ha vissuto con la profondità del suo ruolo? E forse il suo Calvario è solo un passaggio, una ulteriore purificazione alla sua già vita purificata e beata?
Un Papa e il suo calvario.
E’ quello che sta vivendo in questi giorni, in questi ultimi attimi, Giovanni Paolo II, il nostro Papa, perché il suo destino gli ha fatto incontrare una malattia crudele, una sofferenza fisica pesante.
Un uomo e il suo calvario.
Una vita iniziata nella povertà e nella sofferenza, quando, negli anni quaranta, lavorando nelle cave di pietra a Zakrzówek, presso Cracovia, evitò la deportazione nel terzo Reich germanico. Fu in quel periodo che nacque la sua Vocazione. Wojtyla Iniziò a frequentare i corsi clandestini della Facoltà di Teologia dell’Università Jagellonica come seminarista dell’arcidiocesi di Cracovia, e fu trasferito insieme ad altri seminaristi “clandestini”, nel palazzo dell’arcivescovado.
Un Papa e il suo calvario.
Wojtyla è un grande Papa ma anche un grande uomo, per questo ci è difficile pensare alla sua malattia, al suo dolore. Cosciente della sua scelta fino in fondo, forte nello spirito e nel corpo. Anche quando il 31 maggio del 1981 Ali Agca lo colpì al ventre e al gomito con due proiettili, lui non mollò.
Era forse già tutto scritto?
Allora si pensò ad un miracolo dettato dal volere di Dio perché questo Papa aveva fatto un giuramento con lui, quello di portare fino in fondo alla sua vita il messaggio di Dio, la fede. Nemmeno la morte poteva toccare quell’uomo forte voluto da Dio. Un Papa intellettuale poliglotta, che al di là di ogni convinzione politica ha guardato al bene dell’umanità. Per questo con molta diplomazia e umiltà ha incontrato e con loro dialogato, i grandi uomini del suo tempo, Reagan, Arafat, Gorbaciov.
Perché il suo è un messaggio di pace e di umanità.
E niente lo ha fermato. Nemmeno questa malattia che è giunta all’apice, ma che da anni lo ha colpito. Lui ora sa che è giunta la sua ora.
Preghiamo noi, fedeli e non fedeli, perché di lui, oltre alla Fede, ammiriamo il coraggio, l’ umiltà, la forza nel voler ancora una volta affacciarsi alla finestra della sua camera per salutare la folla, che in piazza San Pietro in questi giorni gli fa compagnia. Come il gesto di mercoledì, quando con fatica ha tentato di dirci ancora qualcosa, quasi a voler sfidare la sua malattia, sempre in nome dell’amore per la gente e l’umanità in generale.
Il suo viso quel giorno era molto sofferente. Nella sua drammaticità ricordava un quadro: “L’urlo” di Munch.
E cosa voleva urlare Giovanni Paolo II quel giorno? La sua breve apparizione, il suo silenzio sono l’espressione più alta dell’amore che Dio ha voluto comunicarci attraverso lui. E’ il silenzio di un uomo di Dio che ci vuol far capire, che oltre la vita terrena, esiste davvero quella eterna e che anche quando la sua malattia diventerà ancora più forte noi dovremo portare nei nostri cuori questa fede incrollabile E quel viso è il viso di un uomo prima di un Papa, e la sofferenza lo tocca in profondità. Forse anche più di ogni altra persona, perché Giovanni paolo II ha vissuto anche la sofferenza di tutta l’umanità. Il suo amore è stato infinito e il suo coraggio altrettanto.
Cosa ci ricorderemo di questo uomo di Dio? Oltre alla sua vita nobile e al suo coraggio?
Noi, che lo abbiamo visto in diretta alla tv, o in piazza San Pietro con i nostri occhi rivolti verso la sua finestra, ci ricorderemo del suo sguardo triste, di fronte alla sua impotenza di non poter più offrire in futuro, a noi suoi umili fedeli, la benedizione domenicale, ma anche della sua serenità interiore, di un uomo che si appresta alla morte.
Caro Wojtyla, cosa ci sarà oltre questo?
Qualcosa di più bello che tu hai già visto? Un riposo, finalmente dovuto, o ancora un cammino, una lotta per affermare la pace e il bene? Incontrerai tutte le ultime vittime innocenti del destino sciagurato dello Tzunami? E tutti quei bambini che ogni giorno muoiono di fame in ogni parte del mondo? Oggi aggiungo: tutte le vittime del Covid? E i bambini che stanno morendo in questa guerra assurda?
Tu lo sai già cosa c’è sopra noi, oltre noi.
Tu sei il Papa, la voce di Dio, il mediatore tra ciò che esiste in cielo (o in un altro universo) e noi che siamo quaggiù, su questa terra e preghiamo come semplici esseri umani che vivono la sofferenza del tuo abbandono, guardando in alto verso la tua finestra per cercare, almeno in questo momento, un miracolo.
Aiutaci. Ora più che mai invochiamo il tuo ricordo.
Articolo scritto per l’opera lirica “Giovanni Paolo II” (teatro Wagner, Milano, 22 novembre 2003).
La vocazione. Per leggere la poesia clicca qui.
Foto dal web.